CENTRALE FOTOGRAFIA ESPONE A RIMINI AL MUSEO DELLA CITTA’

 

 

 

Il 24 febbraio alle ore 17.00 presso Il Museo della Città di Rimini in via Tonini 1, sarà inaugurata l’esposizione “Confine Marchignolo. Gente e luoghi tra Marche e Romagna”, un originale evento fotografico che cercherà di catturare un’identità e una geografia inedite dei luoghi racchiusi dalla costa adriatica tra Pesaro e Rimini e dall’entroterra tra Valmarecchia e Montefeltro. Fino al 1 aprile 2013.

L’esposizione, curata dall’Associazione culturale Centrale Fotografia, in collaborazione con il Comune di Rimini e Omnia Comunicazione, sarà il frutto del lavoro di più di sessanta fotografi che hanno partecipato al corso di fotografia “Pesaro-Rimini. Il territorio marchignolo e la gente che vive il confine tra Marche e Romagna”, curato da Paolo Giommi e Marcello Sparaventi e dedicato alla memoria di Luigi Ghirri e Paola Borgonzoni Ghirri, in cui sono intervenuti, tra gli altri, l’architetto Pippo Ciorra, il geografo Massimo Bini, l’assessore Massimo Pulini e lo scrittore Gian Ruggero Manzoni.

 

Confine “Marchignolo” gente e luoghi tra Marche e Romagna

Negli ultimi tempi, si fa un gran uso dell’aggettivo marchignolo, riferito a luoghi, prodotti e persone; ma che cosa vuol dire esattamente? Secondo l’uso corrente, fa riferimento ad una cosa o persona che racchiude in sé caratteristiche sia marchigiane che romagnole, quindi legato al confine tra le due regioni.

Storicamente, questa è sempre stata una linea contesa: comuni e signorie hanno combattuto per secoli, approfittando dello scarso potere esercitato dallo Stato Pontificio, al prezzo di subire a volte rappresaglie durissime, soprattutto durante il secolo XIV. Le guerre diventano meno frequenti solo dopo che Sigismondo Pandolfo Malatesta viene dichiarato decaduto: risale al 1463 il primo cambio di provincia, allora chiamato libertas ecclesiastica, quando i comuni marchignoli scelgono di passare alcuni sotto Ravenna ed altri sotto Fano. Da notare che nei decenni immediatamente successivi, questi ultimi hanno un maggiore sviluppo economico e demografico rispetto ai primi (ad esempio, Mondaino cresce molto più di Saludecio).

Esiste un’identità marchignola? Risale al rinascimento un celebre detto. Nei secoli successivi, le Romagne sono visitate di frequente dagli esattori papali, detti gabellieri o gabellini, provenienti da Fano o dal resto delle Marche: “Meglio un morto in casa che un marchigiano alla porta” si riferisce certamente all’insofferenza nei confronti degli esattori.

Altro luogo comune riminese è quello dell’automobilista imbranato, che in città si ripropone ogni volta che si vede in città un’auto targata Pesaro; a Cattolica, c’è persino chi ha lasciato l’auto in garage per settimane, pur di non farsi vedere con la targa PS, ed è uscito solo dopo averne ricevuta una nuova, con su scritto RN. Non solo, a Riccione e Rimini c’è la convinzione diffusa che: “Pesaro è lontano”, come se fossero necessarie almeno un paio d’ore di autostrada per arrivarci.

Al contrario, i marchigiani non nutrono diffidenza nei confronti dei loro vicini: a Pesaro, molti abitanti si considerano romagnoli mancati, tanto che Riccione e Rimini sono mete molto apprezzate durante il fine settimana.

Chi ha inventato l’aggettivo: “marchignolo”? Sicuramente, la prova che ci porta più indietro nel tempo è il cognome Marchignoli: contrariamente a quanto si possa pensare, è diffuso principalmente in Emilia, tra Bologna, Modena e Parma, mentre solo una famiglia porta questo nome in provincia di Pesaro. Se accettiamo l’idea che il cognome indichi la provenienza di una famiglia, esempi celeberrimi sono le famiglie Gonzaga ed Este, che hanno assunto questi nomi dopo essersi spostate a Mantova e a Ferrara, allora si può dedurre che, originariamente, il termine marchignolo stava ad indicare persona originaria delle Marche trasferitasi in Emilia-Romagna.

Il significato più moderno si fa risalire a Fabio Tombari, poeta e scrittore nato a Fano nel 1899. Di lui si dice che potesse svegliarsi nelle Marche e pranzare in Romagna, senza dover uscire di casa. Mappe alla mano, la frase non è esatta, ma ben si sposa con il carattere del personaggio, così incline a frasi ad effetto ed esagerazioni ironiche, tanto che, trasferitosi a Mondaino in seguito al matrimonio con Anna Busetto, gli abitanti del paese l’avevano soprannominato “el sciaparel”. La  loro grande casa, oggi disabitata, sorge a pochi metri dal Rio Salso, corso d’acqua che segna il confine regionale per alcuni chilometri, tanto che che un quarto del podere si trova non nel territorio di Mondaino, ma in quello di Tomba (l’odierna Tavullia).

Tombari non ha mai messo l’aggettivo per iscritto nelle sue opere, ma lo cita spesso e volentieri nella lingua orale: ad esempio, si autodefinisce marchignolo ad un battesimo, in presenza dell’amico Delio Bischi, a cui il neologismo piace tanto da farlo proprio. Anche Bischi si può definire marchignolo a tutti gli effetti, lui che, negli anni ’50, fa di Gradara la meta turistica che è oggi, unendo l’attenzione alla cultura marchigiana con lo spirito e l’organizzazione turistica della riviera Romagna. Sfogliando i giornali, cartacei o telematici, capita spesso di leggere che la paternità dell’aggettivo “marchignolo” vada attribuita al già citato Delio Bischi, tuttavia si può anche trovare un articolo in cui Matteo Giardini assicura che autori come: “Zavoli, Guerra e Fellini sono certi che l’invenzione sia da attribuire a Fabio Tombari”. Come dice Daniele Marziani, scrittore riminese: “Della genialità importa il frutto, mica l’autore. Che Tombari sia stato il più marchignolo degli scrittori del Novecento è innegabile, indipendentemente dall’inventore dell’aggettivo”.

Dove si trova il confine marchignolo? Tombari stabilisce il limite meridionale del dialetto romagnolo non sul Tavollo (tra Cattolica e Gabicce) ma sul fosso Sejore (tra Pesaro e Fano), dove il pronome personale “me” si trasforma in “je”. C’è persino chi, come il poeta dialettale Antonio Maddamma, colloca all’interno della “romagna” la città di Senigallia, perché ritiene che il suo dialetto sia molto più simile al quello riminese che a quello piceno. Per chiarire ulteriormente il concetto, possiamo analizzare le opere di Tombari: Frusaglia, titolo di uno dei suoi “best seller”, è un luogo di fantasia, ma con molti riferimenti ad usanze e luoghi concreti, che si possono racchiudere in un lembo di terra situato tra Montefeltro ed il mare. Anche ne: “La morte e l’amore” sono citate molte località romagnole, gran parte delle quali sono situate tra i fiumi Foglia e Marecchia.

Chi si sente oggi marchignolo? Sicuramente, gli abitanti dei comuni marchigiani lungo il confine, compresi Pesaro, Gabicce, Gradara, Tavullia; probabilmente gli abitanti dei sette comuni che hanno cambiato provincia nel 2009 e forse anche alcuni degli abitanti dei paesi dal lato romagnolo, come Cattolica, San Giovanni, Mondaino, ma non molto di più: sentendosi chiamare marchignolo, un pesarese si sentirebbe probabilmente lusingato, mentre un riminese potrebbe rispondere: “Marchignolo a chi?”.

La mostra in oggetto propone uno sguardo non convenzionale sulla riviera ed il suo entroterra, un’occasione per riscoprire il formato della cartolina, spesso considerato fotografia di serie B, per far incontrare i suoi abitanti e riflettere su eventuali differenze, arrivando forse a scoprire che ci somigliamo più di quanto immaginiamo.

Enrico Chiaretti

 

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